Nella Campomarino di un tempo, era facile dedurre il ceto di appartenenza dal modo di vestire. Se le persone più ricche, per i loro abiti raffinati, potevano usare trine, seta e merletti, la povera gente aveva unicamente il necessario per coprirsi e un solo abito definito buono che serviva per i giorni di festa. Di solito, quello che si era ricevuto in dote durava tutta la vita e quando questi indumenti diventavano logori e consumati, si rattoppavano o ricucivano in modo da donar loro nuova vita ed essere sfruttati il più possibile.
L’abito tipico delle donne di Campomarino era composto da mutandoni di lana e camicia, lunghi fino al ginocchio e da una gonna più lunga arricciata in vita e con le pieghe. Sopra la camicia veniva indossato un corpetto piuttosto corto, abbottonato sul davanti. Non usavano cappotti, ma mantelline lavorate a maglia e con le frange. Spesso sulla gonna, che generalmente era di cotone scuro, si portava un zinale, cioè un grembiule colorato, annodato dietro la schiena. In base alle possibilità economiche le donne indossavano gioielli: orecchini di pietre, pendenti e anelli, di solito ricevuti in dono nel periodo del fidanzamento. Le scarpe presentavano dei bottoncini laterali o un laccetto al collo del piede, generalmente basse, ma venivano usate solo in occasioni particolari, tutti i giorni le donne indossavano le pianelle, i patiti (zoccoli di legno) e le cioce (zoccoli importati dalla vicina Ciociaria).
L’abbigliamento maschile era più semplice: mutande di flanella lunghe fissate al bordo inferiore da due fettucce, pantaloni in tela o panno sorretti da straccali (bretelle). La camicia non era mai di colore chiaro, a parte nei giorni di festa, non aveva il colletto, ma veniva inserito a parte. Anche la giacca era utilizzata solo in particolari occasioni, in velluto a coste o di panno pesante. Molto diffuso l’uso del gilet, quasi sempre dello stesso tessuto dei pantaloni. Le calzature erano alte e chiodate per il lavoro, basse per il giorno della festa. Un elemento che completava l’abbigliamento maschile era l’orologio da taschino con catena (in oro o argento a seconda delle possibilità) fissato all’asola del gilet.
La superstizione e le credenze popolari erano semplici e contadine. Spesso veniva giudicata cattiva o indemoniata una persona che aveva una particolare caratteristica fisica, fuori dal comune. Molte di queste credenze sono in uso tutt’oggi, porterebbe sfortuna poggiare il cappello sul letto, sognare neonati femmina, incontrare un prete, regalare oggetti che pungono. Una notevole influenza aveva la luna, sia sul sesso dei nascituri che sulla riuscita del raccolto, sul travaso del vino, sulla cova dei pulcini. Contro le malelingue si usava invece appoggiare la scopa capovolta fuori all’uscio di casa.
La gastronomia tipica di Campomarino, come gli altri paesi molisani che affacciano sul mare è tutta all’insegna del pesce. Scampi, triglie, cozze e vongole dominano nei piatti di questa zona creando con grande abilità risotti, zuppe e minestre.
A Campomarino, è forte la tradizione arbëreshë, si parla ancora oggi l’albanese e si conservano intatti il carattere e le tradizioni dell’altra sponda dell’Adriatico. Queste popolazioni arrivarono nel Molise intorno alla seconda metà del XV secolo, guidate da Giorgio Castriota Scanderbeg, al quale Ferdinando II d’Aragona aveva concesso territori in Molise, come indennità per l’aiuto ricevuto contro le truppe dei D’Angiò.