Il Carnevale a Campomarino, Kalevarit Kemarin, era la festa del mondo contadino, cioè di quelle persone da sempre ritenute ai margini della città.
Già all’epoca dei romani, nelle feste dei Saturnali, era in uso festeggiare in un certo periodo dell’anno una sorta di carnevale. Era un giorno in cui si stravolgevano le leggi del vivere civile, per abbandonarsi alle stravaganze, tanto che uno schiavo poteva fingersi il proprio padrone e addirittura mangiare allo stesso tavolo.
Nei tempi più recenti, il Carnevale inizia con l’uccisione del maiale, il 17 gennaio, il giorno di Sant’Antonio Abate, un motivo per condividere dei momenti di festa con la famiglia e il vicinato. L’ultimo giovedì di Carnevale, secondo un’antica usanza, veniva preparato il Lej zot, ovvero del grano bollito per commemorare degnamente i defunti.
A Campomarino, con un certo rituale, le famiglie organizzavano a turno feste e serate danzanti, non erano solo occasione per mangiare e ballare, ma anche per giocare tutti insieme. Tra i giochi più in voga c’erano il Malanno: veniva assegnato un numero a ogni partecipante, quando il numero veniva chiamato la persona doveva rispondere subito con un altro numero o le veniva dipinta la faccia di nero. Si giocava anche alla corsa dei sacchi. Si raccontavano poesie e drammi popolari. Era tradizione che al Carnevale di Campomarino partecipasse anche la vicina Termoli.
La festa del Carnevale durava tre giorni: domenica, lunedì e martedì grasso. Molti si vestivano da frate con sacchi di iuta, anche per richiamare il ricordo del Sant’Antonio. Tipica era la festa dell’ultimo giorno di carnevale, veniva inscenata per il paese una vera e propria commedia teatrale. Un pagliaccio rappresentava la partenza del Carnevale che veniva poi portato in trionfo per tutto il paese cantando: Carnevale perché sei morto, l’insalata era nell’orto, il prosciutto era appeso, Carnevale che tu possa essere appeso. Si arrivava fino alla stazione ferroviaria, facendo finta di aspettare un treno. Arrivava Quaresima, la moglie di Carnevale, vestita a lutto e piangente. La pantomima continuava con una specie di processo in cui Carnevale veniva condannato a morte mediante abbruciatura e dopo essere stato bruciato veniva scaraventato dal muraglione.